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In aula le immagini della scuola esplosa

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imageSfilano i primi testimoni al processo per il disastro di Piano d’Accio: tutto si gioca sulla ricostruzione tecnica dell’accaduto

Nell’aula del tribunale scorrono le immagini del disastro. Foto e filmati ripresi il giorno dopo l’esplosione che ha semidistrutto la scuola materna di Piano d’Accio, il 3 ottobre 2013. Li ha portati il pubblico ministero Stefano Giovagnoni e sembra di vedere gli effetti di un bombardamento: l’edificio è sventrato, macerie e calcinacci ovunque, un enorme blocco di cemento del peso di 600 chili sbalzato a oltre dieci metri di distanza. Immagini che fanno capire, in tuta la loro evidenza, che cosa si è rischiato quel giorno nella scuola di Piano d’Accio: una strage di bambini. È ciò che sarebbe inevitabilmente avvenuto se l’esplosione si fosse verificata solo un paio di ore prima, quando i piccoli alunni erano ancora nell’edificio.

Lo scoppio fu causato dall’esplosione del vano caldaia saturo di gas, e su questo non ci sono dubbi, ma quello che vuole accertare il processo è: di chi è la responsabilità? Gli imputati sono tutti dirigenti o dipendenti della Cpl Concordia, la coop modenese alla quale il Comune di Teramo ha affidato la gestione degli impianti termici: l’ex presidente Roberto Casari, il consigliere delegato Daniele Spiaggiari, il dirigente dell’area di Sant’Omero Alfredo Lupi, il responsabile della commessa Walter Lucidi, il responsabile di cantiere Massimo Lancia.

Ieri davanti al giudice Flavio Conciatori sono stati ascoltati i primi testimoni, tra cui gli a genti della polizia scientifica che fecero i rilievi e l’ex comandante provinciale dei vigili del fuoco Daniele Centi. Dalle testimonianze è stato confermato che nel vano caldaia la griglia di aerazione era più piccola di quanto prevede la norma, per cui quando il vano si riempì di gas non riuscì a far fuoriuscire il metano. Tuttavia, secondo Centi, anche se fosse stata a norma probabilmente l’esplosione ci sarebbe stata lo stesso. Il teste ha anche riferito che l’impianto termico non aveva un certificato di prevenzione incendi. La fuga di gas che aveva saturato il vano caldaia era partita dall’alloggiamento del contatore, con cui comunicava tramite un foro.

Probabilmente la pressione del gas era più alta di quanto potesse sostenere l’impianto, anche se nel vano del contatore c’era un riduttore di pressione, una valvola di vecchia produzione, no più in commercio da 30 anni. Tuttavia, nel corso dell’inchiesta preliminare, è stato accertato da un laboratorio che il riduttore era funzionante. Il processo riprenderà il 10 maggio e sarà una battaglia i di perizie tecniche per accertare il punto di origine del problema: fino al contatore la gestione è della società del gas; dopo è della Cpl.

 

Fonte: Il Centro

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