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Immissioni canna fumaria: no al danno se non si prova l’effettiva nocività

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Cassazione civile , sez. VI-2, ordinanza 20.02.2014 n° 4093 (Alessandro Ferretti. Direttore Amministrativo e.f. Coordinatore presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali). Con la sentenza n. 4093 del 20 febbraio 2014, la sesta sezione civile della Corte di Cassazione interviene in materia di immissioni ex art.844 cod. civ. ribadendo confini e limiti della tutela collegata a questa fattispecie.

In particolare, gli Ermellini ribadiscono l’impossibilità di configurare il danno “in re ipsa” arrecato alla salute da immissioni nocive e il correlato onere di provare l’effettiva nocività. Come sostenuto pacificamente dalla stessa giurisprudenza precedente della Suprema Corte, l’accertata esposizione ad immissioni sonore intollerabili non costituisce di per sé prova dell’esistenza di danno alla salute, la cui risarcibilità è subordinata all’accertamento dell’effettiva esistenza di una lesione fisica o psichica.

In buona sostanza, in tema di immissioni eccedenti il limite della normale tollerabilità, non può essere risarcito il danno non patrimoniale consistente nella modifica delle abitudini di vita del danneggiato, in difetto di specifica prospettazione di un danno attuale e concreto alla sua salute o di altri profili di responsabilità del proprietario del fondo da cui si originano le immissioni.

Nel caso di specie due coniugi citano in giudizio il vicino perché gli fosse ordinato, una volta accertata l’intollerabilità delle immissioni prodotte dalla canna fumaria di sua proprietà, di eseguire le opere idonee ad eliminare le immissioni stesse
e perché fosse condannato al risarcimento dei danni. Il Giudice di pace accoglieva la domanda, vietando azioni atte a provocare immissioni di fumo sino alla realizzazione di una nuova canna fumaria esterna, condannando l’uomo al risarcimento dei danni subiti dai coniugi e dal loro figlio minore. Tuttavia, in sede di appello, il giudice riformava la sentenza impugnata, rigettando
la domanda degli attori, dichiarando interamente compensate tra le parti le spese del giudizio. Da ciò consegue il ricorso per cassazione da parte dei coniugi, in proprio e quali esercenti la potestà sul figlio minore, con un unico motivo di doglianza, con cui si prospetta la violazione dell’art. 844 cod. civ.

In particolare, i ricorrenti evidenziano che il giudice di merito aveva adottato una motivazione solo apparente, dove aveva statuito che gli appellanti avevano l’onere di provare in concreto l’effettiva nocività delle immissioni nonché i danni derivati alla loro salute, conformemente a quanto affermato dalla più recenti pronunzie di legittimità. Come si è visto, i giudici del Palazzaccio ritengono del tutto corretto l’operato del giudice di appello, valutando per di più la doglianza dei coniugi palesemente destituita di pregio. D’altra parte, le immissioni di cui si tratta nel giudizio erano state occasionali e sporadiche, essendosi verificate nell’abitazione dei coniugi soltanto in due occasioni e a notevole distanza di tempo l’una dall’altra. Ciò che ne escludeva il carattere continuativo e periodico, per il quale, come si legge nella stessa sentenza, è richiesta una certa frequenza e ripetitività nel tempo. Inoltre, nel caso di specie, vi era un chiaro difetto del requisito dell’attualità di una situazione di intollerabilità, trattandosi di un pericolo solo potenziale, in mancanza di un’apprezzabile reiterazione nel tempo delle lamentate immissioni.

La Corte ricorda che, in tali casi, per ottenere tutela dal tribunale, è necessario dimostrare due aspetti fondamentali:

a. l’intollerabilità delle immissioni: non si considerano intollerabili i fumi o le esalazioni sporadiche, ossia in numero ridotto (nel caso deciso dai giudici erano solo due) e a notevole distanza l’una dall’altra. Se l’immissione è, infatti, saltuaria allora il pericolo per la salute è solo potenziale e non effettivo;

b. la prova dell’esistenza di lesioni fisiche o psichiche a carico del confinante. Così il vicino dovrà dimostrare di aver subìto un serio danno in conseguenza del surriscaldamento della confinante canna fumaria.

Insomma, il risarcimento è sempre subordinato alla prova di un reale e concreto danno e non può scaturire solo dalla constatazione che da una canna fumaria sono derivati emissioni potenzialmente nocive. Nel giudizio di merito, infine, non vi era stata la prova da parte dei coniugi dei danni subiti dal surriscaldamento della canna fumaria, venendo in tal modo a mancare il requisito della materialità, intesa come influenza oggettiva e negativa sull’organismo dell’uomo, tale da oltrepassare il limite della normale tollerabilità. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.

 

a cura della Redazione

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